ECRITURE : TERRITOIRE(S)

Publié le par italienlyceechoiseul

Dans le cadre de la préparation d'un recueil de textes écrits par les élèves du lycée en français ou en langue étrangère sur le thème du territoire, notre assistante d'italien nous a proposé ce témoignage sur Trieste.

La ringraziamo per la sua testimonianza che fa capire quanto TRIESTE sia una città a proposito della quale la parola territoria sia carica di significati.

Trieste

Sono nata nella terra dei vespri e degli aranci, bruciata dal sole, piena di agrumi, rumori, arte, gioie e difficoltà. Poi, per motivi di studio, sono partita per una meta insolita, per una città che fino a quel momento per me era solo un luogo al nord, situato nella parte opposta dell’Italia rispetto a dove vivevo, famoso per quella pericolosissima Bora che, secondo tutta la mia famiglia, mi avrebbe senza dubbio fatto volare via.

     L’unico punto comune tra la mia e questa nuova terra, che mi avrebbe poi accolta per i sei anni successivi, era il mare. Nell’immaginario collettivo di ogni isolano che si rispetti, il mare è una sorgente di vita, punto di riferimento principale e onnipresente della vita quotidiana. Qualunque cosa si faccia, in qualsiasi momento della giornata, si è consapevoli che il mare è là a spiarti, a confortarti, intrappolarti o colorarti la giornata. È la certezza di appartenere a un luogo.

Oggi però vi racconterò un mare diverso dal mio. Il mio mare adottivo, della mia città adottiva: Trieste.

    Situata sull’omonimo golfo, Trieste è il capoluogo del Friuli-Venezia Giulia, la regione più a Nord-Est dell’Italia. Stretta tra l’imponente altopiano del carso e il mare, la città deve tutta la sua storia e la sua essenza alla posizione geografica: è il punto di incontro tra l’Europa occidentale, l’Europa centrale e i Balcani. L’impatto è immediato: secoli di storia intrisa di dominazioni, incontri di culture, popoli di Oriente e Occidente, lingue e religioni, sono tutti ben visibili in questa città. Ogni giorno che passa ti costringe a prendere coscienza di questo fenomeno fino a diventare la quotidianità.

     Prendo il bus dall’Università, situata sul colle detto Monte Valerio, e vado in basso verso il centro della città. Entro e ascolto. Lingue diverse. All’inizio non le distinguevo neanche, adesso invece ne conosco i suoni. Accanto a me una coppia di signore conversa in serbo-croato, alla fermata dopo, un ragazzo saluta l’amica in italiano, sale e comincia a parlare al telefono in sloveno, un uomo chiede informazioni all’autista con un forte accento del sud Italia, al semaforo l’autista affianca un altro bus e saluta il collega in diletto triestino: «Come xè?», poi ancora distinguo tra la gente qualche frase in tedesco, probabilmente una famiglia della vicina Austria venuta a passare qualche giorno in Italia e ancora studenti albanesi e libanesi. Insomma a Trieste è sufficiente salire su un bus per rendersi conto della multiculturalità che la caratterizza. Non a caso Trieste è stato il luogo di nascita di produzioni letterarie in tre lingue diverse, che rispecchiano le culture principali che animano questa città, quella italiana, tedesca e slovena.

Continuo il mio viaggio, attraverso Piazza Oberdan, dove da lontano intravedo la statua dei due innamorati e subito mi viene in mente la triste storia che la statua racconta, quella cicatrice che a qualche chilometro dal centro è ancora presente, nascosta, ma viva in questa città che sta cambiando. I confini, gli scontri, la guerra, la deportazione e la Risiera di San Sabba

. Il bus gira poi  bruscamente ed eccomi nel Borgo Teresiano, un quartiere di Trieste costruito nella metà del XVIII secolo e voluto dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria. Con i suoi splendidi edifici moderni che danno ampio respiro alla città, ricorda il periodo aureo di Trieste sotto la dominazione asburgica. Una piccola Vienna. Supero la Chiesa di San Antonio, affiancata da quella Serbo-Ortodossa di San Spiridione, facciamo il giro del Borgo e scendo al capolinea, di fronte alla chiesa Greco-Ortodossa; «Dovrebbero aggiungere un’altra fermata anche nei pressi della Sinagoga!» penso ridendo. Poi mi giro, ed eccolo là, il mare.

Si sta alzando vento. Mi copro, arriverà presto Bora. La Bora è un vento che scaturisce dal punto di incontro tra due climi, quello nordico e quello mediterraneo, una perfetta sintesi dello spirito della città. Quando soffia forte (può raggiungere anche raffiche di 170 km/h), si vedono motorini e tegole a terra, rami e foglie turbinare per strada, mentre i cassonetti della spazzatura ne approfittano per farsi un giro. Ma i triestini non si lasciano intimidire. La Bora, salutare, fortifica fisico e spirito, dicono. Io non mi abituerò mai, ma ormai esco lo stesso con o senza Bora. Faccio acrobazie o mi attacco ai lampioni per non perdere l’equilibrio, tanto qui è normale. Una sera mi ricordo che ero sulle Rive a sfidare la Bora con degli amici, era talmente forte che, con i piedi ben fermi, mi sono sbilanciata indietro con la schiena e non sono caduta. Emozioni così, solo Trieste ve le garantisce, come anche la febbre a 38° l’indomani. No, non mi ci abituerò mai.

Eccomi finalmente arrivata alla mia meta: Piazza Unità d’Italia. Una delle più belle e grandi piazze di tutta Europa. È la piazza principale di Trieste, ai piedi del Colle San Giusto. La piazza si apre su un lato sul Golfo di Trieste ed è circondata da numerosi edifici pubblici con il Municipio al centro, proprio di fronte al mare (lo stesso dal quale il 18 settembre 1930 Benito Mussolini affacciandosi dal balcone centrale annunciò la promulgazione delle leggi razziali fasciste in Italia).

La piazza sembra galleggiare sul mare. Potrei stare qui ore ad ammirarla. Poco lontano, sul lato del mare, si trova il Molo audace. Decido di percorrerlo fino alla fine, il vento si fa più forte, ma ne vale la pena. Raggiungo l’ultima bitta, mi volto, e la piazza che prima era alle mie spalle adesso è solo un puntino, mi arrivano le voci in lontananza. Alla mia sinistra c’è il mare, in direzione del lungomare di Barcola e del Castello di Miramare, bianca dimora degli Asburgo, costruita a strapiombo sul mare, e alla mia destra ancora mare, ma verso Muggia, la Slovenia e poi l’Istria. Dietro la piazza invece, i colli e poi il Carso.

Penso, Trieste è una città controversa. Per via del suo carattere contraddittorio infatti non c’è altra scelta: o la si ama o la si odia. Per Umberto Saba, celebre scrittore italiano nato a Trieste, la descrizione della città e della sua scontrosa grazia è tra gli argomenti più cari al poeta: una città portuale, aperta, disinibita, sempre giovane, brulicante di umanità, fresca e al tempo stesso riservata e diffidente, che ha conosciuto la sofferenza e il dolore. Saba scrive: «Trieste ha una scontrosa grazia. Se piace, è come un ragazzaccio aspro e vorace, con gli occhi azzurri e le mani troppo grandi per regalare un fiore; come un amore con gelosia». Qualcun altro però la pensa diversamente. Ivo Andrić, il più grande scrittore slavo del Novecento e premio Nobel per la letteratura nel 1961, nei suoi viaggi è spesso costretto a fermarsi a Trieste: «Qui non mi sento bene. In particolare non riesco a rassegnarmi al clima. Già provato, sono partito da Bucarest, e qui che vento, che umidità. […] Non so fino a quando riuscirò a resistere…» e ancora «Purtroppo anche l’inchiostro si è congelato per la Bora e il malumore. Ho sofferto abbastanza nei due mesi passati. Il medico mi ha consigliato di lasciare immediatamente Trieste».

 

      Io, a differenza di questi autori, non so ancora se la amo o la odio, di certo non è la mia terra d’origine e non la conosco ancora bene, ma mi affascina e so che ha ancora tanti segreti da svelarmi. Per questo adesso mi siedo qui sul molo e aspetto il prossimo segreto, mentre all’orizzonte osservo uno di quei meravigliosi tramonti rossi che solo questa città sa regalare.

 

Martina Birrita, marzo 2014

 

 

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